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Gli investimenti ad impatto: come coniugare la ricerca di redditività e il soddisfacimento dei nuovi bisogni di welfare

Stefania Luzi
07 novembre 2022
TEMI MEFOP
  • Governance
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  • Casse di previdenza

Negli ultimi anni gli investitori previdenziali hanno manifestato grande attenzione nei riguardi della finanza sostenibile e, in particolare, di quelle strategie che, se da un lato presentano maggiori complessità gestionali, dall’altro generano ricadute ed effetti positivi sul sistema.

Tra queste va certamente citato l’impact investing, ossia quegli investimenti effettuati con l’intento di realizzare un impatto ambientale e sociale misurabile e in grado, al contempo, di produrre un rendimento finanziario. Si tratta di un settore ancora di nicchia, le cui dimensioni non sono facilmente stimabili.

Il fenomeno del green e social washing, che sta accompagnando la crescita dell’industria, e l’inclusione nella definizione di “investimenti a impatto” di strumenti molto diversi tra loro (debito ed equity; mercato pubblico e privato), rischia di sopravvalutare gli asset in gestione. Le aspettative di crescita sono comunque, sensibilmente, in rialzo.

Impact investing

Diverse sono le ragioni che spiegano l’accresciuto interesse nei confronti dell’impact investing. Il primo è riconducibile alle scelte di politica economica degli stati che hanno sottoscritto gli accordi di Parigi sul clima, nonchè l’Agenda 2030 dell’Onu.

Il volume di investimenti necessari per rendere concretamente fattivo il raggiungimento di tali obiettivi era stato allora stimato nell’ordine di 2,4 trillioni di dollari ed è stato rivisto recentemente al rialzo, per un ulteriore importo di un trillione di dollari, alla luce dell’impatto generato dalla pandemia sui fenomeni economici e sociali, quali l’incremento del tasso di disoccupazione e del tasso di povertà, l’allargamento delle disuguaglianze sociali.

La fig. 1 riporta l’andamento del SDG Index Score, l’indice che misura il raggiungimento dei 17 obiettivi di sviluppo sostenibile (SDGs) dell’Onu; un punteggio pari a 100 indica che tutti gli  SDGs sono stati raggiunti.

Dal 2015, anno di sottoscrizione dell’Agenda 2030, l’indice ha mostrato un progressivo miglioramento, per poi invertire il trend nell’anno in cui è scoppiata la pandemia. Non si hanno, peraltro, ancora evidenze riguardo il possibile ulteriore impatto generato dall’emergenza energetica. Data la pressione sui debiti governativi, lo spazio per ulteriori interventi pubblici è limitato e la compartecipazione del settore istituzionale, alla ricerca di opportunità di investimento che presentino anche ricadute ambientali e sociali, appare oggi una strada ineludibile.

Non è solo il finanziamento del nuovo modello di sviluppo sostenibile a rappresentare una sfida per gli stati e a premere per una sinergia pubblico-privato. Anche le tendenze demografiche, che stanno in particolar modo interessando i paesi sviluppati, stanno divenendo sempre più pressanti e tali da generare bisogni sociali, sempre più complessi, il cui soddisfacimento richiede risposte innovative da parte dei sistemi di welfare.

Il riferimento è, tra gli altri, all’invecchiamento della popolazione, con il conseguente incremento del rischio di non autosufficienza, i bassi tassi di natalità, la maggiore presenza delle donne sul mercato del lavoro e l’impatto sul cosiddetto welfare familiare ­- lo svolgimento di attività di cura e assistenza prestate dalle donne a favore di familiari bisognosi all’interno delle mura domestiche - i fenomeni migratori.

Come soddisfare i nuovi bisogni di welfare?

La risposta a questa domanda è racchiusa nel concetto di innovazione sociale. L’innovazione sociale è la modalità attraverso cui sono individuati nuovi modelli di produzione di beni e di fornitura di servizi, in risposta ai bisogni richiamati poc’anzi, facendo leva sulla costruzione di relazioni tra attori economici e sociali che vadano oltre il soggetto pubblico, a cui tradizionalmente è riconosciuta la responsabilità di operare nei settori maggiormente interessati dai cambiamenti in atto.

Tra i soggetti coinvolti, vi sono innanzitutto le imprese. Il mondo corporate negli ultimi anni è stato oggetto di un profondo cambiamento, la cui manifestazione più radicale è lo stakeholder capitalism: l’obiettivo di un’impresa è creare valore nel lungo termine, non solo a favore dei propri azionisti, ma anche a beneficio di tutti gli stakeholder, dai clienti ai fornitori, dai lavoratori alla comunità in cui l’azienda opera. Si tratta, a ben vedere, del medesimo concetto di successo sostenibile, richiamato nel Codice di Corporate Governance, redatto da ABI, ANIA, Assonime, Confindustria, Borsa Italiana S.p.A. e Assogestioni, e definito come “l’obiettivo che guida l’azione dell’organo di amministrazione e che si sostanzia nella creazione di valore nel lungo termine a beneficio degli azionisti, tenendo conto degli interessi degli altri stakeholder rilevanti per la società”.

In tal contesto, si affermano nuovi modelli per fare impresa. Si pensi alle società benefit che, oltre il profitto, perseguono un beneficio comune, indicato nello Statuto e oggetto di misurazione, o alle B corp, che hanno deciso di suggellare la loro attenzione alla sostenibilità con l’apposita certificazione rilasciata da BLab. Accanto alle imprese, vi sono il terzo settore, popolato da quegli enti presenti da anni a fianco del servizio pubblico nei settori dell’assistenza ai disabili, della tutela dell’ambiente, dei servizi sanitari e socioassistenziali e dell’animazione culturale, ma riconosciuti giuridicamente in Italia solo nel 2016, nonché gli investitori istituzionali, sempre più attenti agli aspetti di sostenibilità delle loro scelte di investimento, anche in virtù della spinta normativa.

L’assetto regolatorio che la Commissione Ue è andata costruendo ha fatto da catalizzatore per la finanza sostenibile e per le sue declinazioni strategiche, e quindi anche per gli investimenti a impatto, per quanto le risorse a essi afferenti sono ancora decisamente limitate se paragonate a quelle raccolte dalle strategie più diffuse (esclusioni, best in class, convenzioni internazionali, …).

Tra i provvedimenti normativi voluti dal legislatore comunitario, il regolamento Ue 2088/2019 in merito all’informativa sulla sostenibilità nel settore dei servizi finanziari (Sustainable finance disclosure regulation - Sfdr) ha maggiormente impattato l’industria, ridisegnandone l’assetto con l’introduzione della classificazione dei prodotti (art. 6, art. 8 e art. 9), sulla base delle modalità attraverso cui i fattori esg sono integrati nelle politiche di investimento.  

Il regolamento non fornisce criteri per la classificazione, la cui scelta è rimessa ai partecipanti ai mercati finanziari. Il rischio di green e social washing, in un contesto di assoluta discrezionalità, è molto alto, tanto che è al vaglio della Commissione Ue l’introduzione di standard minimi che vincolino le scelte degli operatori. In attesa dei prossimi sviluppi normativi e del possibile impatto sull’offerta, il settore, alla fine di giugno 2022, si presentava come raffigurato dalla fig. 2. I fondi artt. 8 e 9 hanno superato, in termini di asset in gestione, i fondi art. 6; soltanto il 5% delle masse è di pertinenza dei fondi art. 9.

Altre misure, attualmente allo studio della Commissione Ue, che potrebbero dare un ulteriore impulso alle strategie ad impatto, riguardano la possibile introduzione, nella disciplina dei fondi pensione, del principio della doppia materialità e della mappatura delle preferenze di sostenibilità degli associati.

Con il primo, i piani previdenziali, già invitati dalla Iorp 2 a tener conto dell’impatto dei rischi esg sulle decisioni di investimento, potrebbero essere chiamati a valutare anche gli effetti delle loro scelte sugli aspetti ambientali e sociali. La seconda fa invece il paio con quanto già previsto per le compagnie di assicurazione e gli intermediari finanziari che, a partire dal 2 agosto 2022, devono tenere conto delle preferenze di sostenibilità dei clienti nel corso del processo di profilazione delle necessità finanziarie e di valutazione dell'adeguatezza dell'offerta.

L’estensione ai fondi pensione potrebbe rappresentare la spinta per un coinvolgimento della base, tanto più proficuo e generoso quanto più i temi della sostenibilità permeeranno la sensibilità degli iscritti.

Le Casse di previdenza, per quanto escluse dall’ambito dei destinatari dei provvedimenti normativi succitati, mostrano grande sensibilità nei riguardi delle disposizioni regolamentari. Nel loro ruolo di investitori istituzionali e di gestori di patrimoni finalizzati al pagamento delle prestazioni pensionistiche dei liberi professionisti, non si sottraggono alle sfide aperte dalla finanza sostenibile e guardano proattivamente ai rischi e alle opportunità da essa dischiuse.

 

Stefania Luzi
Mefop

In Mefop dal 2001. Laureata in Scienze Statistiche ed Economiche, si occupa di coordinare l'attività dell'Area Economia e Finanza.