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Per i giornalisti pensionati nessun divieto di cumulo

Paolo Giuliani
04 ottobre 2021
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Con l’ordinanza n. 22170 del 3 agosto 2021 la Suprema Corte ha stabilito che la disciplina, contenuta nell’art. 72, comma 2, della l.  388/2000, successivamente modificata dall’art. 44, comma 2, della l.  289/2002 che prevede - a decorrere dal 1° gennaio 2003 - la completa cumulabilità tra pensione di anzianità e redditi da lavoro, si applichi oltre che all’ambito della previdenza sociale obbligatoria anche alle forme di previdenza sostitutiva, tra cui l’Inpgi, sebbene l’istituto sia stato privatizzato in base al d.lgs. 509/1994.

La Corte, su questi presupposti, ha dunque, nel caso sottoposto al suo giudizio, disapplicato l’art. 15 del regolamento Inpgi laddove prevede una disciplina più rigorosa che esclude la completa cumulabilità prevista invece dalla legge.

L’art. 15 del regolamento di previdenza della Gestione Sostitutiva Inpgi prevede che per le pensioni di vecchiaia non vi siano limiti alla cumulabilità con i redditi di lavoro autonomo e dipendente, mentre le pensioni di anzianità sono cumulabili con i redditi di lavoro autonomo e dipendente che non superino la soglia di 20 mila euro – limite annualmente rivalutato secondo i coefficienti Istat.

Nell’ordinanza 22170 la Corte richiama il proprio orientamento, che si è formato su questa materia (Cassazione n. 21470/2020 e n. 19573/2019), in base al quale la norma di legge che regola la fattispecie del cumulo ha una formulazione che legittima l'interpretazione secondo cui il regime del cumulo senza vincoli tra pensione di anzianità e redditi riguardi sia la previdenza sociale obbligatoria che le forme sostitutive della stessa anche ove gestite da enti privatizzati come è il caso dell’Inpgi.

È nella legge, secondo la Corte, la “norma espressa” che lo stesso Inpgi sostiene essere necessaria affinché la disciplina dettata per i trattamenti pensionistici gestiti dall’Ago sia applicabile all’Istituto di previdenza dei giornalisti.

Superate le obiezioni dell’Istituto basate sull’autonomia regolamentare riconosciuta agli enti di previdenza privatizzati e privati, e sull’assenza di un obbligo di conformazione della disciplina Inpgi a quella generale, anche eventuali problematiche legate all’impatto finanziario sull’equilibrio dei conti dell’Istituto che potrebbero originare da una scelta come quella sul cumulo non dovrebbero essere enfatizzate secondo la Corte in quanto in altre circostanze il legislatore è intervenuto a favore dell’Istituto attraverso la fiscalità generale.  

Il richiamo è all’art. 37, comma 1 bis, della l. 416/1981 che per i trattamenti di pensione anticipata prevede a favore dell’Inpgi un onere annuale, a decorrere dal 2009, di 10 milioni di euro a carico del bilancio dello stato.

Nessun contrasto infine viene rilevato con la sentenza della Cassazione a Sezioni Unite 17589/2015 con la quale è stata esclusa l’applicabilità all’Inpgi, e in genere agli enti di previdenza privati e privatizzati, dell’art. 24, comma 4, del d.l. 201/2011 (convertito in l. 214/2011) che riconosce la facoltà del lavoratore alla prosecuzione dello stesso rapporto di lavoro per un lasso di tempo che può estendersi fino a settanta anni. In quella pronuncia non si può ravvisare, infatti, un canone interpretativo di carattere generale.

 

Paolo Giuliani

Dirigente dal 1999 del Servizio Contributi e Prestazioni dell'Enpaf, collabora a pubblicazioni in materia di assistenza e previdenza.