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Il diritto di riscatto per premorienza dopo l’ordinanza della Sezione Lavoro della Corte di Cassazione

Chiara Costantino
13 gennaio 2020
TEMI MEFOP
  • Previdenza complementare
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  • Fondi pensione

Ricostruzione della fattispecie

Come noto, il riscatto per premorienza dell’aderente del Fondo è una delle prestazioni c.d. tipiche della previdenza complementare, già presente nello schema del D.lgs. 124/1993, all’art.10, comma 3-ter.

Tale disposizione riconosceva (e riconosce tutt’ora per il caso dei Fondi destinati a dipendenti pubblici) quali aventi diritto al riscatto le persone del coniuge ovvero dei figli, o in subordine dei genitori se viventi a carico dell’iscritto deceduto, realizzando una fattispecie parallela a quella dell’indennità ai superstiti ai sensi dell’art. 2122 c.c..

In entrambe tali disposizioni il “capitale” è inteso come strumento di previdenza e di sussistenza in favore dei prossimi congiunti del defunto che maturano il diritto a percepire le somme non già quali successori ex lege o per via successoria, bensì iure proprio.

Con la riforma del 2005 la formulazione normativa che disciplina la fattispecie è stata modificata e inserita all’art.14, comma 3, del D.lgs. 252/2005. In base a tale norma il diritto al riscatto per premorienza è esercitato da “eredi ovvero diversi beneficiari designati (oggi “soggetti designati” per effetto del D.lgs. 147/2008, ndr), siano essi persone fisiche o persone giuridiche”.

In merito alla corretta interpretazione da dare alla nuova formula, gli Orientamenti Covip del 15 luglio 2008 hanno tempestivamente fornito chiarimenti risolvendo i dubbi relativi alla natura e alla qualificazione giuridica del “nuovo” diritto al riscatto, nonché sul criterio da seguire nella individuazione degli aventi titolo in caso di contestuale presenza sia di eredi che di beneficiari designati.

La Commissione di Vigilanza ha rilevato che, posto che l’iscritto non ha nel corso del rapporto un generale ed incondizionato diritto al riscatto della propria posizione previdenziale, deve escludersi che la stessa faccia già parte del suo patrimonio. Il diritto di credito previdenziale, infatti, è esercitabile dall’aderente solo in presenza di quei presupposti di operatività espressamente indicati dalla disciplina.

Nel caso di cui trattasi, è proprio la premorienza dell’aderente la circostanza fattuale che fa sorgere iure proprio direttamente in capo ai “beneficiari” il diritto al riscatto. 

D’accordo con le indicazioni della Commissione di Vigilanza, anche l’Agenzia delle Entrate che nella Circolare n.70 del 2007 aveva invece chiarito l’esclusione dall’asse ereditario del capitale previdenziale oggetto di riscatto per premorienza dell’aderente e quindi l’esclusione dell’imposta di successione.

Altro tema smarcato dagli Orientamenti del luglio 2008 è quello sulla prevalenza da attribuire alle categorie di aventi titolo individuate dalla norma in caso di contestuale presenza sia di “eredi ovvero diversi soggetti designati”. Sotto questo profilo l’Autorità di vigilanza ha sottolineato il fatto che il termine “ovvero” dovesse intendersi quale congiunzione disgiuntiva includente dovendosi quindi intendere come legittimati al riscatto gli eredi “a meno che” non vi siano soggetti designati dall’iscritto.

In merito quindi alla terminologia utilizzata dalla normativa, l’Autorità ha ritenuto che il termine eredi dovesse intendersi riferito all’individuazione dei soggetti legittimati al riscatto in assenza di una designazione dell’iscritto e che, quindi, gli aventi titolo dovessero individuarsi nei soggetti che l’ordinamento prevede come astrattamente riconducibili alle categorie di successibili.

La rinuncia all’eredità nella risposta a quesito Covip di ottobre 2009 e nell’Ordinanza n. 19571 della Corte di Cassazione

Covip è poi tornata a pronunciarsi sul tema e in particolare sulla circostanza che la rinuncia all’eredità potesse determinare la perdita del diritto al riscatto della posizione previdenziale del de cuius. Sul punto la risposta a quesito Covip dell’ottobre 2009 ha precisato che, in caso di legittimazione al riscatto da parte degli eredi, l’accettazione dell’eredità fosse un istituto afferente tipicamente alle regole del diritto successorio e quindi irrilevante ai fini della legittimazione al riscatto per premorienza.

In particolare, secondo la Commissione

l’indicazione, contenuta nell’art.14, comma 3 del D.lgs. 252/2005, degli eredi quali soggetti legittimati a riscattare la posizione dell’iscritto, in mancanza di designati, non vale, dunque, ad assoggettare il rapporto alle regole della successione ereditaria, atteso che tale norma concreta una mera indicazione del criterio per la individuazione dei beneficiari, i quali sono coloro che rivestono, al momento della morte dell’iscritto, la qualità di chiamati all’eredità, senza che rilevi la (successiva) rinunzia o accettazione dell’eredità da parte degli stessi”.

Non di questo avviso è però stata la Sezione Lavoro della Corte Cassazione che, con l’ordinanza del 19 luglio 2019 n.19571, si è pronunciata sulla questione con un indirizzo antitetico a quello fornito dall’Autorità di vigilanza.

Le argomentazioni utilizzate dal giudice nomofilattico non mancano di riferimenti alla disciplina delle assicurazioni a favore di terzo, le medesime utilizzate da Covip come parametro di interpretazione analogica.

Secondo quanto si legge nell’ordinanza, con riferimento al contratto di assicurazione sulla vita a favore di terzo la prevalente giurisprudenza della Corte ha affermato il principio secondo cui

Nel contratto di assicurazione per il caso di morte, il beneficiario designato acquista, ai sensi dell’art. 1920, comma 3, c.c., un diritto proprio che trova la sua fonte nel contratto e che non entra a far parte del patrimonio ereditario del soggetto stipulante e non può, quindi, essere oggetto delle sue (eventuali) disposizioni testamentarie né di devoluzione agli eredi secondo le regole della successione legittima; sicché la designazione dei terzi beneficiari del contratto, mediante il riferimento alla categoria degli eredi legittimi o testamentari, non vale ad assoggettare il rapporto alle regole della successione ereditaria, trattandosi di una mera indicazione del criterio per la individuazione dei beneficiari medesimi in funzione della loro astratta appartenenza alla categoria dei successori indicata nel contratto, in modo che qualora i beneficiari siano individuati, come nella specie, negli eredi legittimi, gli stessi sono da identificarsi con coloro che, in linea teorica e con riferimento alla qualità esistente al momento della morte dello stipulante, siano i successibili per legge, indipendentemente dalla loro effettiva chiamata all’eredità”

Secondo la Corte però il principio suddetto non sarebbe applicabile alla fattispecie del riscatto per premorienza in quanto, in questo caso, la fonte del diritto riconosciuto come iure proprio è nella legge e non in un contratto. In base a tale ricostruzione, il diritto al riscatto sorgerebbe direttamente in capo ai soggetti individuati dalla riportata norma negli eredi ovvero nei diversi soggetti indicati dall’aderente al fondo. Poiché nell’ambito dell’ordinamento italiano la qualifica di “erede” non si acquisisce in via automatica, prevedendosi a tal fine l’istituto dell’accettazione esplicita o tacita, secondo la Corte per “eredi” deve intendersi coloro che, chiamati all’eredità, l’abbiano accettata.

La Commissione di Vigilanza e la Corte di Cassazione (la Sezione Lavoro, ndr), trovandosi quindi davanti ad un chiamato all’eredità rinunciatario della stessa, darebbero soluzioni diverse sulla possibilità di concedere allo stesso il riscatto per premorienza o meno.

Fermo restando il disallineamento sul tema della rinuncia all’eredità, la Cassazione consolida però alcune delle interpretazioni fornite negli anni dalla Commissione di vigilanza e in particolare: la qualificazione giuridica del diritto vantato dai soggetti legittimati al riscatto a titolo proprio, la prevalenza da assegnare ai soggetti designati piuttosto che agli eredi e il criterio di riparto per equivalenza tra gli aventi diritto in assenza di diverse determinazioni del de cuius.

Cosa possono fare i fondi pensione?

La pronuncia della Corte di Cassazione introduce un elemento di discontinuità in un contesto pratico che da anni si è strutturato e assestato sulle indicazioni della Commissione di Vigilanza.

Oggi, sul medesimo caso, i Fondi pensione trovano due possibili soluzioni, entrambe passibili di contenzioso giudiziario perché non ancora consolidate.

Sul punto è bene ribadire, infatti, che una singola ordinanza di una Sezione della Cassazione non è di per sé sintomatica di un indirizzo univoco e forte della giurisprudenza, tuttavia potrebbe rappresentare una traccia per i giudici di merito che si trovino a dover decidere cause simili.

L’unica soluzione “sicura” percorribile al momento, che sembra poter minimizzare i rischi per i fondi e anche per l’iscritto che volesse far valere la propria scelta, è quella di acquisire la designazione specifica dei soggetti legittimati al riscatto (anche nella definizione generica di “chiamati all’eredità” che indica gli eredi potenziali e quindi anche gli eventuali rinunciatari), attraverso il modulo ad hoc o il modulo di adesione.

 

Chiara Costantino
Mefop

In Mefop dal 2013. Laureata con lode in Giurisprudenza. Si occupa di consulenza legale e formazione, collabora alla redazione delle pubblicazioni giuridiche. È responsabile del servizio Alert.