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La Corte Costituzionale equipara i dipendenti pubblici iscritti ai fondi pensione negoziali alle altre tipologie di aderenti a forme pensionistiche complementari

Paolo Pellegrini
04 novembre 2019
TEMI MEFOP
  • Previdenza complementare
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  • Diritti e prestazioni
  • Tfr
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  • Fondi pensione

Con la Sentenza n. 218 del 3 ottobre 2019 la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del diverso trattamento tributario – tra dipendenti pubblici e privati – previsto per il riscatto di una posizione individuale maturata tra il 2007 e il 2017.

Qual era la situazione di partenza?

Quando il 1° gennaio 2007 entrò in vigore il D.Lgs. 252/05, furono introdotte norme fiscali di grande vantaggio per i fondi pensione. Tuttavia si volle escludere che la appena introdotta tacita devoluzione del TFR riguardasse anche i dipendenti pubblici, per evitare di chiedere un esborso allo Stato, il tutto fino all'emanazione di una apposita riforma della previdenza complementare per i dipendenti pubblici. Purtroppo però la norma fu formulata in termini molto ampi, stabilendo che ai dipendenti pubblici si applicasse “integralmente ed esclusivamente” la disciplina previgente (art. 23, comma 6).

Sebbene l’intenzione del legislatore riguardasse solo il TFR, la norma citata fu intesa in modo letterale, nel senso che ai dipendenti pubblici iscritti ai loro fondi collettivi si applicasse integralmente il D.Lgs. 124/93, con le vecchie tipologie di prestazioni (es. non prevista l’anticipazione libera del 30%) e soprattutto la vecchia e più pesante fiscalità. Che fosse una violazione del principio di uguaglianza era chiaro a tutti, così come appariva chiaro che si sarebbe potuto adottare una interpretazione costituzionalmente orientata per limitare la vecchia disciplina alla sola esclusione della tacita devoluzione del TFR. Ma il chiaro tenore letterale della predetta disposizione legislativa non consentì tale interpretazione. Ad aggravare la cosa è il fatto che si ritenne di dover applicare le vecchie e meno favorevoli regole fiscali ai soli dipendenti pubblici iscritti al proprio fondo di categoria (Espero, PerseoSirio, Laborfonds o Fondemain) e non ai dipendenti pubblici iscritti a fondi aperti e Pip in via individuale sulla considerazione che in tal caso non rileva la qualifica di pubblico dipendente.

Per avere un primo intervento legislativo di correzione si è dovuto aspettare una modifica ad opera della legge di bilancio per il 2018 (modifica successiva al deposito dell’ordinanza di rimessione alla Corte Costituzionale, cfr. infra). Dal 1° gennaio 2018, infatti, si è superata la disparità di trattamento fiscale per la quota di prestazioni riferibili ai contributi versati successivamente a tale data, ma è rimasta ferma la discriminazione per il periodo 2007-2017, su cui è ora intervenuta la Corte.

Come si è giunti alla Sentenza?

Nell’autunno del 2015 fu Roberto Abatecola, allora Direttore del fondo pensione Espero, a prendere l’iniziativa. Furono individuati un certo numero di aderenti che avevano riscattato ed erano stati penalizzati per le norme fiscali discriminatorie vigenti. Con il patrocinio dell’Avv. Flavio De Benedictis, storico collaboratore di Mefop, furono istruite le istanze di rimborso e il relativo procedimento contro il silenzio-rifiuto presso le Commissioni Tributarie Provinciali competenti. La Commissione Tributaria Provinciale di Vicenza ha poi istruito l’ordinanza di rimessione incidentale alla Corte che ha poi portato alla Sentenza del 3 ottobre.

Cosa succede adesso? È tutto risolto?

Nell’immediato i fondi interessati si stanno organizzando per applicare la Sentenza, mentre gli aderenti frattanto liquidati dovranno organizzarsi per ottenere i rimborsi dall’Agenzia delle entrate. Va però detto che in effetti la Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 23, comma 6, del d. lgs. 252/2005, nella parte in cui prevede che il riscatto della posizione individuale sia assoggettato a imposta ai sensi dell’art. 52, comma 1, lettera d-ter), TUIR (tassazione ordinaria di M2 del riscatto volontario), anziché ai sensi dell’art. 14, commi 4 e 5, dello stesso d.lgs. n. 252 del 2005 (ritenuta alla fonte a titolo di imposta).

Il pronunciamento, formalmente, riguarda il solo riscatto c.d. volontario visto che la questione di legittimità costituzionale era stata sollevata in relazione ad una istanza di rimborso della maggiore imposta applicata su tale tipologia di prestazione. È evidente che adesso occorreranno indicazioni di prassi fiscale per poter estendere gli effetti della sentenza anche ai riscatti c.d. involontari, alle anticipazioni e alle prestazioni pensionistiche in rendita e capitale.


Per approfondire

Sentenza 218/2019

Video dell’udienza di discussione del 18 giugno 2019

Paolo Pellegrini
Mefop

In Mefop dal 2001. Avvocato. Laureato con lode in Giurisprudenza. È vicedirettore e responsabile dell'Area Normativa ed istituzionale.