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La “telenovela” costituzionale della perequazione pensionistica (Corte cost. n. 70/2015)

Pasquale Sandulli
11 maggio 2015
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La guerra dei trenta anni!
La guerra dei trenta anni! La Corte ci ricorda (nel contesto di una ricostruzione dei precedenti, ricavabili anche dalla sentenza 316/10) che la questione è datata (sent. 17 dic. 1985, n. 349), e fu da subito impostata nei termini di rispetto degli equilibri finanziari: non è ammissibile peggiorare un trattamento pensionistico in atto in misura notevole ed in via permanente senza una inderogabile esigenza (più o meno esplicita). Allora vinse il legislatore, così come nelle successive occasioni, sentendosi sempre ripetere che deve sussistere una qualche rispondenza fra retribuzione e pensione, e che essa deve proiettarsi nel tempo, secondo una linea di sostanziale continuità, seppure affidata alla ragionevole discrezionalità del legislatore.

Una sentenza annunciata
Dunque, una sentenza annunciata, grazie anche al monito della stessa Corte nel 2010: la sentenza perciò non sorprende, quanto alla sua fondatezza; semmai lascia l’amaro in bocca a chi – conscio del precedente - tentò di avvertire del rischio di una manovra molto pesante.
È noto che la riforma di cui all’art. 24 fu in buona parte assunta in continuità con le precedenti riforme, e proprio il comma 25 fu adottato soppiantando il non ancora attuato, ma più leggero, art. 18, c. 3 d.l. n. 98/11. Lo stacco dell’art. 24 dalle pregresse riforme pensionistiche trovò tuttavia spazio, in chiave di politica economica, nell’incipit stesso (comma 1), ove venivano  indicati gli obiettivi perseguiti: i) rispetto degli impegni internazionali, ii) vincoli di bilancio (era in gestazione la revisione dell’art. 81 Cost, di lì a poco legge cost. n. 1/12; iii) la stabilità economico finanziaria; iv) la sostenibilità di lungo periodo del sistema pensionistico. Tale enunciato colora l’intero art. 24, e dunque integra la motivazione dei singoli interventi, ivi compreso anche l’avvio del comma 25 (”in considerazione della contingente situazione finanziaria”), secondo una lettura che – fermo il rilievo della Corte circa la carenza di relazione tecnica (par. 10, penultimo periodo) - non può essere segmentata, rischiandosi diversamente di non dare il giusto peso a ciascuno degli interventi di cui si compone la complessa manovra.

Continuità delle sentenze della Corte
Questa continuità delle sentenze della Corte nell’attenzione ai profili di finanza pubblica è accentuata dalla ricordata immissione del nuovo art. 81: da ciò la ribadita inammissibilità del referendum abrogativo della riforma pensionistica, sent. n. 6/15, e la stessa sentenza sulla Robintax, n. 10/15, da qualcuno pure invocata (ma, attenzione: un conto è stata la mancata restituzione di imposte sui redditi di impresa nel contesto di una normativa tributaria con effetti annualmente delimitati, altro conto sarebbe stato la mancata riattribuzione di quote di pensione nel contesto di un regime perequativo autocapitalizzantesi). Sono approcci che trovano significativa eco nell’orientamento recente della Corte europea dei diritti dell’uomo, che nel 2012 (sent. n. 62235), ha conservato gli effetti finanziari già prodotti in favore dell’Erario da una legge pur dichiarata illegittima. In ulteriore alternativa, la Corte avrebbe potuto adottare un dispositivo forse ancora più equilibrato, ripristinando l’abrogato art. 18, c. 3, d.l. n. 98/11: ma questa scelta era stata già esclusa dalla Corte in occasione della sentenza n. 316/13 sulle pensioni d’oro.

Ora occorre provvedere
Ora occorre provvedere: questo è fuori discussione! Innanzitutto si richiedono conteggi affidabili, non potendosi neppure ipotizzare che si ripeta l’allucinante balletto dei numeri sui “salvaguardati”. Sul punto non mancano le preoccupazioni: la stessa Corte, si ricorda, segnala la carenza di relazione tecnica a corredo del comma 25, richiesta invece dall’art. 17, c. 3 l. 196/09. Di più: ancorché si tratti di una quota modesta rispetto al complesso, deve aversi contezza anche dell’impatto quantitativo della sentenza sui trattamenti integrativi di secondo livello, a prestazione definita, oggetto di attenzione della stessa Corte costituzionale nelle sentenza n. 393/2000, tenendo conto che essi sono collocati normalmente nella fascia alta.

Il rimedio non può che essere legislativo
Quanto al rimedio, esso non può che essere adottato sul piano legislativo:  la stessa Corte lo prospetta (in fine del par. 7), visto che descrive, ed assolve, la finanziaria 2014 (art. 1, c. 483 lett. e, l. 147/13). Il Governo potrà seguire, in via di urgenza, questa implicita, ma non tanto, indicazione, congruamente valutando ed adottando - per l’attuazione della sentenza in favore di quelli che sono i fisiologici beneficiari dell’attenzione della Corte (“in particolar modo quelli titolari di trattamenti previdenziali modesti”) - diversificate fasce di progressivo contenimento della spesa, e dunque non  solo per differenziare le modalità di  pagamento (moneta o titoli di stato); potrà altresì – fermo restando l’accentramento in capo al casellario centrale dell’INPS della funzione amministrativa di imprescindibile, oramai, ripartizione delle quote di perequazione fra gli enti erogatori di pensioni - dare istruzioni precise agli stessi enti quanto ai tempi di pagamento. Così, dalla censura spunterebbe la ninfea di un invito, con  l’augurio, ragionevolmente diffuso, della ripresa di dialogo fra queste fonti del diritto, nella salvaguardia dei rispettivi, essenziali ruoli.

 

Pasquale Sandulli

Pasquale Sandulli è attualmente Professore di Diritto del Lavoro nell’Univ. Europea di Roma, Previdenza complementare e Giustizia costituzionale del lavoro nella Luiss-Roma.
Tra i numerosi incarichi istituzionali, ha rivestito la carica di Esperto presso il Ministero del lavoro; componente del Nucleo di valutazione della spesa previdenziale e membro del collegio di conciliazione ed arbitrato dell'Ufficio del Lavoro della Sede Apostolica
É collaboratore scientifico di Mefop dal 2005 e attualmente fa parte del comitato direttivo della "Riv. Dir. Sic. Sociale”.