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Storytelling: progettare narrazioni che portano a risultati misurabili

Letizia Bocciardi
06 giugno 2022
TEMI MEFOP
  • Organizzazione e Comunicazione
DESTINATARI
  • Casse di previdenza

Ciao, posso chiederti dieci minuti del tuo tempo per parlarti della relazione di bilancio?
Certamente! Ma solo se tu mi dai dieci minuti del tuo per parlarmi della comunicazione della tua cassa di previdenza.

Mentre scrivevo questo pezzo mi chiama un amico commercialista e io approfitto subito del caso o della fortuna (Jung la chiamerebbe sincronicità) che, mentre sto analizzando il modo di comunicare di alcune casse di previdenza, ho l’opportunità di intervistare un iscritto all’albo dei commercialisti e capire il suo punto di vista. Certo, direte voi, una rondine non fa primavera. È vero, ma potrebbe essere anticipatoria di uno stormo in arrivo e allora mi butto nella conversazione, scoprendo che la sua giornata è affollata di newsletter che lo informano di leggi, norme, codici e codicilli. Costretto a leggere quanto riceve per dovere professionale, quando finalmente potrebbe rivolgersi alle informazioni di carattere personale arrivate con l’ennesima newsletter, non ha più le energie per dedicarsi ad altro. Non credo sia il solo. Pensandoci bene questa è la giornata tipo di qualsiasi professionista. E quante volte ci troviamo ad accantonare messaggi utili e interessanti per la nostra salute e la nostra vita privata perché sarebbero l’ennesimo testo noioso da leggere nella giornata. Troppo spesso.

Eppure il benessere bio-psico-sociale è importante. Ne sanno qualcosa tutte quelle organizzazioni che, per creare valore aggiunto per i propri clienti o associati, si prodigano per offrire oltre ai servizi “core” nuove soluzioni di welfare, che includono protezione, divertimento, cultura, e quant’altro consenta loro di restare sempre desiderabili.

La nostra è un’era in cui i servizi si evolvono in fretta e vanno verso un futuro di risposte a bisogni sempre più sensibili, ma per raccontare l’importante valore offerto, per soddisfare anche le esigenze più considerevoli è fondamentale riuscire a togliere i rumori di sottofondo di una comunicazione assordante e invasiva, individuando delle “aree emotive” favorevoli al nostro messaggio. In un certo senso, per guardare al futuro, bisogna tornare al passato. Gli antichi greci e romani lo sapevano bene e, infatti, narravano attraverso miti e leggende, di storie e di emozioni, di conflitti e di guerre. Potenziavano i messaggi come oggi viene fatto con lo storytelling. Un modo di comunicare avvolgente e pieno di significati che cattura l’attenzione degli “spettatori”. L’arena di comunicazione è cambiata rispetto al teatro greco e romano o alle corti feudali, ma gli spettatori restano gli stessi, persone con pensieri e emozioni che, a differenza del passato, sono più difficili da “attrarre” solo perché sottoposti ad una pressione comunicativa così vasta e eccessiva che li rende intolleranti o indifferenti.

Adesso raccontiamo storie in contesti più attuali e con personaggi più reali e la differenza la fa la narrazione avvincente, commovente nel senso etimologico della parola, commovēre “mettere in movimento, agitare”.

Anche senza la moderna ricerca delle neuroscienze, che dimostra che la narrazione è il modo migliore per catturare l’attenzione della gente, fissare le informazioni nei loro ricordi e stringere legami stretti e personali, l’umanità ha sempre saputo che intimamente le persone bramano e cercano grandi storie, quasi quanto cibo e acqua per nutrire l’anima. E coloro che sanno raccontare le storie più avvincenti sono in grado di governare la maggiore influenza all’interno delle comunità.

Le buone storie ci sorprendono. Ci fanno pensare e sentire. Rimangono impresse nella nostra mente e ci aiutano a ricordare idee e concetti in un modo che un PowerPoint pieno di grafici a barre o una newsletter piena di informazioni non potranno mai esaudire.

 

Corporate storytelling

Parlando di Corporate storytelling, Joe Lazauskas e Shane Snow, nel loro bestseller “The Storytelling Edge” (J. Lazauskas, S. Snow,The storytelling edge: how to transform your business, stop screaming into the void, and make people love you, Edizioni Wiley, 2018), ci offrono tre suggerimenti che tutti quelli che hanno una funzione di marketing e comunicazione nella propria azienda, dovrebbero tenere presente.

Il primo suggerimento è come trasformare il business, dalla strategia alla brand reputation, ai processi interni utilizzando lo storytelling.

Il secondo suggerimento è “non urlare nel vuoto”. Comunicare è una disciplina che, per essere efficace, richiede competenze specifiche e capacità relazionali, empatiche. Anche nel mondo dell’hype tecnologico e del metaverso, l’uomo resta e vuole sentirsi protagonista.

Il terzo è “fai in modo che le persone ti amino”. Soprattutto per le aziende che promuovono servizi ad alto valore aggiunto per la persona e per i suoi bisogni essenziali, è molto importante raggiungere le emozioni e far sentire che c’è una vera cura in ciò che si propone.

Infatti lo storytelling aziendale è l’arte di raccontare la storia del proprio brand con l’obiettivo di comunicare un’identità coerente, fondata su dei valori e degli obiettivi chiari, che sia facilmente riconoscibile. Raccontare la propria identità attraverso le storie ha una valenza doppia per l’azienda, perché agisce sia verso l’esterno che all’interno. Prima di tutto, per avere una coerenza di messaggio, sarebbe opportuno che tutti gli stakeholders fossero ingaggiati. Se internamente è credibile, a partire da chi fa le strategie fino a chi le deve mettere in atto, anche esternamente saranno tutti più propensi a credere al valore proposto, alla “purpose”. Tutto il racconto si pone all’interno di un framework di coerenza e di forza comunicativa. È possibile costruire, ad esempio, una forte identità aziendale basata sulla strategia “Brand Hero” con l’uso di archetipi e l’immaginario profondo che portano con sé. Questo è uno dei vantaggi competitivi più preziosi su cui un’azienda possa contare (M. Mark, C. Pearson, The hero and the outlaw, McGraw-Hill Education, 2002).

Da un lato, quindi, la narrazione comunica il brand a un’audience di clienti, partner, investitori, dall’altro fornisce scopi e valori ai collaboratori.

Una strategia di corporate storytelling ben costruita non è composta da una singola storia, ma da un universo narrativo crossmediale che permette a chiunque interagisca col brand di sentirsi parte dell’impresa.

Se parliamo di welfare in senso strategico, diventa imprescindibile adottare un piano puntuale di “engagement” a tutti i livelli di persone e processi coinvolti. Ecco che lo storytelling è un valido aiuto per tenere alta la motivazione e l’interesse di tutti gli stakeholders rispetto alle nostre proposte di valore.

Sappiamo che una storia può farci avvicinare a un problema così tanto da farlo diventare qualcosa di nostro. L’importante è che sia “emozionante”, che sia capace di muovere le nostre sensazioni, che imprigioni la nostra attenzione e che la trattenga il tempo necessario per riporla nella nostra memoria. È qualcosa di chimico e di elettrico che dalle nostre emozioni percorre tutto il processo cognitivo e porta alla memorizzazione degli eventi. Per molti anni gli studiosi interessati alla neuropsicologia dei processi cognitivi hanno focalizzato la loro attenzione sulle basi neuronali di tali processi, soffermandosi soprattutto su percezione e memoria. Gli studi condotti sui processi di memoria hanno permesso di individuare le aree e le strutture responsabili degli sviluppi mnestici e di osservare la stretta relazione tra memoria ed emozione.

Da questi studi è emerso che le strutture maggiormente responsabili nei processi mnestici sono l’ippocampo e l’amigdala, due strutture sottocorticali nel lobo temporale, facenti parte del sistema limbico. L’ippocampo sembra giocare un ruolo primario nella formazione della memoria a breve termine, ma non nel consolidamento della traccia mnestica (memoria a lungo termine). Esso raggrupperebbe informazioni processate da altre aree cerebrali sintetizzandole in un’unica configurazione di stimoli sensoriali esterni. L’amigdala, invece, consente il controllo dell’informazione sensoriale e l’attribuzione di un particolare significato affettivo e/o emotivo a tale informazione. È considerata anche la struttura grazie alla quale è possibile associare uno stimolo ad un premio (ricompensa) o ad una punizione (stimolo avversivo). 

La complessità di questi processi ci fa intuire quanto le nostre decisioni siano fortemente influenzate dalle emozioni.

Comprendere pienamente il ruolo delle emozioni nelle scelte di acquisto è quindi possibile solo con il supporto di tre discipline: psicologia, neuroscienze e marketing (G. Noci, Biomarketing, Egea, 2018).

La Psicologia è, quindi, l’ambito dove è possibile trovare risposte scientifiche rispetto al ruolo della mente «razionale» e di quella «intuitiva», molto dibattuta fino alla nascita di questa disciplina.

Donald Calne, neurologo canadese, ha scritto: «la differenza sostanziale tra emozione e ragione è che l’emozione porta all’azione e l’azione a trarre delle conclusioni».

Schatcher e Singer (S. Schachter, J. Singer, Cognitive, social and physiological determinants of emotional state, in Psycological Review, 1962), con la teoria cognitivo-attivazionale affermano: l’emozione viene definita come la risultante di due componenti:

  • L’attivazione fisiologica «arousal»
  • La valutazione cognitiva «appraisal»

Questo ci suggerisce che le emozioni sono un processo, in parte, controllato che presuppone una valutazione cognitiva, un monitoraggio dell’azione. L’emozione, quindi, è connessa al pensiero. La componente fisiologica (attivazione diffusa dell’organismo) e la componente psicologica (la percezione e l’interpretazione di questo stato in funzione dell’evento) generano l’emozione. La sensazione emotiva, quindi, è la conseguenza dell’etichettamento o dell’interpretazione cognitiva che l’individuo dà del proprio arousal in riferimento all’esperienza.

Ritornando al nostro esempio iniziale, possiamo semplificare affermando che l’evento di ricevere l’ennesima newsletter, per il nostro professionista, non è sufficiente ad attivare l’arousal e a generare un’emozione tale da indurlo a leggerne con attenzione il contenuto.

Sulla base della fondatezza scientifica e l’importanza dello storytelling per costruire la nostra reputazione e il senso di appartenenza di una comunità, proviamo a vedere come affrontare la stesura di una storia emozionante, quali sono i canali di comunicazione e con quali strumenti misurare la nostra capacità di attrazione.

Come affrontare una storia 

Prima di tutto è necessario trovare l’idea. Se gli antichi sottraevano tempo ai bisogni primari per raccontarsi storie, ne evinciamo che tre sono i fattori fondamentali; il primo è che non bisogna avere fretta nello scrivere, il secondo è che essendo noi esseri umani degli “animali sociali” dobbiamo trovare il tempo per riflettere e selezionare bene le persone alle quali vogliamo rivolgerci.

Il terzo fattore riguarda l’intensità della storia e la sua capacità di scatenare emozioni forti. Se gli antichi creavano storie che giravano intorno ai temi portanti dell’amore e della morte, temi a cui non è stata data nessuna risposta e che continuano ad ammaliarci come in una sorta di catarsi, quando scriviamo dobbiamo sempre tenere presente che la nostra percezione passa attraverso i sensi. Pensate alla storia di Ulisse e alla sua odissea, oppure a Ade e Persefone e al loro amore impossibile. È impossibile non attivare emozioni.

Fissare l'idea

Trovata l’idea, il soggetto forte e di carattere, si passa a provare e riprovare. Bisogna trovare l’argomento, il proprio modello di scrittura, magari dando una sbirciatina agli autori che ci ispirano o a narrazioni da imitare. Non è peccato ispirarsi al passato, partire da qualcosa che già c’è e che può essere una base di partenza per qualcosa di nuovo. D’altra parte, molto è già stato scritto.

Affrontare il testo come in palestra: gym, gym, gym 

Cercare la parola, trovare un sinonimo, l’aggettivo giusto… è un lavoro sporco. Thomas Edison diceva «Il genio dell’ispirazione è l’1% e il 99% è traspirazione, sudore e fatica”. Quindi, coraggio! Si parte da una fase libera dove si buttano giù parole senza pregiudizi, prima che sfuggano, ci si esercita a scrivere e a dare forma ai pensieri. La scrittura è un processo che può diventare familiare solo se utilizzato.

Gli elementi di un testo narrativo 

Nello scrivere un testo ci sono alcuni elementi ai quali bisogna fare attenzione e sicuramente tra questi c’è “l’incipit” che deve essere fulminante, “l’explicit” che deve lasciare un buon ricordo, poi c’è lui: il “protagonista”, colui che deve essere studiato a fondo e che deve risultare vero e credibile. Il protagonista può essere una persona o un prodotto, ma deve essere credibile e capace di diffondere energia.

Dopodiché dobbiamo curare lo spazio, cioè il luogo dove avviene la storia, il tempo, lo stile, la punteggiatura; insomma, bisogna avere cura di tutto. Ma una storia non è una storia memorabile se non c’è l’elemento scatenante: quell’incidente, quel fatto, quel momento che accende tutto il racconto e incolla il lettore lì, ovunque si trovi.

Strumenti per comunicare un testo narrativo

Gli strumenti per fare storytelling oggi sono infiniti e soprattutto si intrecciano tra loro nello spazio omnichannel. L’abilità di raggiungere i nostri target su più canali richiede competenze specifiche che non vanno sottovalutate. Avere una buona storia e non saperla veicolare è improduttivo come saper utilizzare i canali e non avere un buon messaggio. L’introduzione del marketing digitale nella vostra strategia di impresa vi assicurerà una parziale risposta, se non affrontato professionalmente. Il mondo della comunicazione è ormai caratterizzato da un alto grado di complessità. La quantità di canali e formati di comunicazione, numero di attori e competenze differenti, danno vita a uno scenario difficile da gestire e controllare, ma anche a potenzialità elevatissime di sviluppo.

La nuova geografia del marketing richiede cultura del dato, una nuova prospettiva uomo-tecnologia, processi decisionali e strumenti manageriali consistenti. Un approccio ecosistemico alla comunicazione basato su un piano che tiene costantemente in coerenza strategia, obiettivi, azioni e metriche di business e metriche digitali.

È essenziale, quindi, avere un approccio molto puntuale alla progettazione del piano di comunicazione, considerando i fattori Tempo, Risorse e Obiettivo. Introdurre le variabili da valutare, definire gli indicatori di qualità e gli strumenti di rilevazione.

 

Un piano di progetto con processo di analisi e controllo puntuale dei risultati, combinando la creatività dello storytelling e la concretezza del Corporate, può essere mutuato dalla ricerca scientifica:

  • DEFINIRE LO SCOPO e chiarire la coerenza tra scopo del progetto e strategia aziendale
  • ANALIZZARE IL BISOGNO o il problema relativo al mercato o all’organizzazione
  • DEFINIRE IL TEMA DEL PIANO che deve essere originale, innovativo, rilevante e fattibile
  • FORMULARE UNA IPOTESI TEORICA immaginando gli scenari di impatto del tema o dell’idea, magari scegliendo tra più formulazioni condivise
  • FORMULARE L’IPOTESI OPERATIVA tracciando i vari punti del piano e inserendo variabili e indicatori
  • DEFINIRE IL CAMPIONE che vogliamo analizzare, con accuratezza e circoscrivendo bene il perimetro
  • VALUTAZIONE DEI DATI: introdurre strumenti di valutazione con classificazioni e misurazioni su basi statistiche
  • RILEVAZIONE: utilizzare strumenti tradizionali quali questionari strutturati, check-list, interviste, appunti, ma combinati a dati forniti dagli algoritmi dei social network
  • ELABORAZIONE DATI: usare tecniche di elaborazione dati e presentarli con indici, tabelle e grafici che abbiamo coerenza con la strategia e gli obiettivi del piano
  • VALUTAZIONE DEL PIANO: verificare se l’ipotesi teorica era centrata, gli scostamenti e effettuare le azioni correttive per migliorare le performance future

Interessante è considerare che la ricerca stessa può diventare un elemento di disseminazione e comunicazione strutturata.

Il Corporate Storytelling può offrire una varietà di opportunità di utilizzo infinite e, tenendo affiancati l’area della comunicazione con quella della valutazione dei risultati, è possibile entrare nel meraviglioso mondo del processo di miglioramento continuo che non potrà che dare grandi soddisfazioni a tutta l’organizzazione.

 

Letizia Bocciardi

CEO & CO-FOUNDER DI HEALTHABILITY SOCIETÀ BENEFIT. Background in marketing e management, EMBA al Politecnico di Milano e Innovation Manager certificata BV, esperta di organizzazioni, change management e sviluppo delle risorse umane, ha frequentato corsi di storytelling alla Scuola Holden di Torino. Ha ricoperto incarichi di responsabilità crescente fino ad assumere il ruolo di Direttore Generale in aziende internazionali leader nei servizi per il mondo healthcare. letizia.bocciardi@health-ability.com