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Decreto aiuti bis: fringe benefit a 600 (+200) euro

Mariano Delle Cave / Giovanni Scansani
22 settembre 2022
TEMI MEFOP
  • Welfare contrattuale e aziendale

L' art. 12 del Decreto Legge 115/2022 in vigore dal 10 agosto scorso, rubricato "Misure fiscali per il welfare aziendale", limitatamente al periodo d'imposta 2022 e in deroga a quanto previsto dall'articolo 51, comma 3 del testo unico delle imposte sui redditi (TUIR), stabilisce che «non concorrono a formare il reddito il valore dei beni ceduti e dei servizi prestati ai lavoratori dipendenti nonché le somme erogate o rimborsate ai medesimi dai datori di lavoro per il pagamento delle utenze domestiche del servizio idrico integrato, dell'energia elettrica e del gas naturale entro il limite complessivo di euro 600,00». Si tratta, quindi, di una misura temporanea, valevole solo per quest’anno e che ha lo scopo, come già accaduto con l’art. 112 del d.l. n. 104/2020 (cd. “Decreto “Agosto”), di fornire un sostegno al reddito di lavoro dipendente nel quadro di una perdurante logica emergenziale (qui da intendere non in senso epidemiologico, ma economico).

La novella legislativa riguarda i fringe benefit e non il welfare aziendale

Nonostante la rubrica della norma in commento faccia riferimento al “welfare aziendale” (che tecnicamente esprime un complesso di misure nel cui ampio novero rientrano anche i fringe benefit di cui all’Art. 51, c. 3 TUIR), la disposizione riguarda unicamente proprio e solo quest’ultima componente dei plurimi possibili interventi di sostegno che le imprese possono attivare nel quadro delle proprie politiche di people management.
Più precisamente, la misura contenuta nel d.l. “Aiuti bis” impatta sia sul valore economico della soglia di esenzione fiscale dei fringe benefit, sia sulle finalità per le quali questi possono essere attribuiti ai lavoratori.

Come noto, tali benefit costituiscono elementi marginali (fringe) della retribuzione che consistono nella cessione di beni e/o nella prestazione di servizi da parte del datore di lavoro (anche tramite soggetti terzi come i provider e/o gli emettitori di voucher) in favore dei lavoratori e senza il vincolo della destinazione alla loro generalità o a categorie omogenee di essi (sono i soli benefit che, anche per il loro modesto valore ordinario pari a € 258,23, possono essere riconosciuti anche ad personam). Si tratta, quindi, di compensi in natura che usualmente, nel complessivo menu dei servizi di welfare aziendale reso disponibile dal datore di lavoro, per i beneficiari costituiscono la fonte per acquistare buoni spesa e gift card. Essi hanno poco a che fare con il welfare aziendale in senso stretto, pur rappresentando spesso - specie nelle PMI - la “porta d’ingresso” per successivi upside delle misure aziendali (si pensi all’effetto “trascinamento” che la previsione di importi obbligatori minimi stabiliti da alcuni importanti CCNL ha avuto rispetto alla successiva introduzione di misure più strutturate e di valore economico ben superiore alla soglia ordinaria dell’art 51, c.3, TUIR).
Quanto al valore economico della soglia, il dl “Aiuti bis” ha provveduto ad incrementarla oltre le attese (si ipotizzava il suo raddoppio a € 516, come avvenuto nel 2020 e nel 2021) portandola a € 600, mentre quanto alle finalità della norma, il decreto le ha estese rivisitando completamente l’istituto dei fringe benefit.

La circolare n. 28/E-2016 dell’Agenzia dell’Entrate aveva, infatti, ribadito che la soglia di esenzione tocca(va) solo i riconoscimenti in natura, mai quelli in danaro (nella formulazione introdotta con la novella si fa ora riferimento anche a “somme erogate o rimborsate”).
In sintesi, la disciplina dei fringe benefit si caratterizzava, prima dell’entrata in vigore del d.l. “Aiuti bis”, per le seguenti caratteristiche:

  • misura attribuibile (anche) individualmente, a differenza dei flexible benefit che devono essere indirizzati alla generalità dei dipendenti o comunque a categorie di essi oggettivamente definite
  • importo massimo di € 258,23 (innalzato temporaneamente a € 516,46 nel 2020 e 2021): i fringe benefit non concorrono a formare reddito da lavoro se, nel periodo corrente di imposta, non superano tale soglia massima. Se l’erogazione supera il limite previsto esso concorre per intero a formare reddito di lavoro dipendente. Di conseguenza, sarà l’intero importo a essere tassato e non soltanto la parte eccedente la soglia massima
  • valore normale: il valore del fringe benefit è determinato in misura pari al prezzo di mercato, oppure al prezzo mediamente praticato dall’azienda nelle cessioni al grossista nel caso in cui sia l’azienda stessa a produrre i beni ceduti o i servizi prestati al dipendente
  • l’erogazione del fringe benefit, ai sensi dell’art.51, comma 3-bis del TUIR, può “avvenire mediante documenti di legittimazione, in formato cartaceo o elettronico, riportanti un valore nominale” (nel caso di speciela pratica aziendale è quella di ricorrere alla distribuzione dei cd. “buoni acquisto”, ossia di voucher “multiuso” come descritti dall’art. 6, c. 2, del Decreto Interministeriale del 25 marzo 2016)

I fringe benefit includono anche rimborsi o somme: quindi danaro

La deroga di carattere generale espressa dal comma 3 dell’art. 51 del TUIR, riguarda ora non solo il valore dei beni ceduti o dei servizi prestati al dipendente (valore ora reso fiscalmente esente sino all’importo di € 600), ma anche l’oggetto o se si vuole le finalità perseguibili tramite il riconoscimento di tali benefit.
Rientrano, infatti, nel novero dei fringe benefit, ancorché temporaneamente (sino alla fine del 2022 con contabilizzazione possibile sino al 12 gennaio 2023 in forza del principio di cassa “allargato”) anche le "somme erogate o rimborsate" per il pagamento di utenze domestiche come acqua, luce e gas (nel limite di € 600).
La soglia di € 600, quindi, è ora un limite complessivo che include anche erogazioni in cash (dirette o a rimborso) e non solo il valore di quanto corrisposto in kind (beni e/o dei servizi). Fino ad oggi l’erogazione in cash (o gli equivalenti rimborsi) era consentita solo all’interno (e neppure per tutte le prestazioni facenti parte del) paniere del welfare aziendale (è il caso, ad esempio, di quanto previsto dall’art. 51, c. 2, lett. d-bis, lett. f-bis e lett. f-ter del TUIR).

Ovviamente l’erogazione in cash (o il rimborso) utile ai fini dell’esenzione fiscale e previdenziale di cui al novellato comma 3 dell’art. 51 TUIR si riferisce solo ed esclusivamente al “pagamento delle utenze domestiche del servizio idrico integrato, dell'energia elettrica e del gas naturale”. Quanto alle modalità di rimborso di tali spese, può soccorrere la circolare n. 5/E-2018 dell’Agenzia delle Entrate. L’esclusione si rende applicabile sempreché il datore di lavoro acquisisca e conservi la documentazione comprovante l'utilizzo delle somme da parte del dipendente coerentemente con la finalità per le quali dette somme sono state corrisposte; è irrilevante, invece, la circostanza che le somme erogate coprano o meno l’intero costo dell’utenza considerata.

Il limite complessivo di € 600 e il bonus carburante: il “pacchetto” vale € 800

Diversamente da qualche prima interpretazione lanciata all’indomani della pubblicazione del Decreto “Aiuti bis”, riteniamo che il limite di € 600, essendo definito come complessivo, sia applicabile con le stesse modalità del limite “usale” di € 258,23. In buona sostanza, il superamento della soglia che include ora - ed appunto complessivamente - fringe benefit “tradizionali” (beni e servizi) e il rimborso (totale o parziale) delle utenze domestiche, comporta la tassazione e soggezione a contribuzione dell’intero importo, non solo dell’eventuale differenza tra la soglia massima e quanto effettivamente erogato o rimborsato.
Peraltro, essendo l’esenzione fiscale rivolta al percettore del reddito, tale esenzione, nel limite di €600, non va misurata (solo) sul rapporto di lavoro in essere, ma anche su eventuali complessivi rapporti di lavoro (o di collaborazione coordinata e continuativa) attivati nell’anno di imposta 2022.

Non ci sono dubbi a nostro avviso che la deroga dell'art. 51, c. 3, TUIR per effetto dell'art. 12 del Decreto 2Aiuti bis" investa anche i redditi assimilati al rapporto di lavoro dipendente, come quelli di collaborazione coordinata e continuativa.

Pertanto il dipendente/collaboratore non potrà cumulare, in ragione di diversi rapporti di lavoro intercorsi durante l’anno (ed oggi astrattamente cumulabili contemporaneamente, in virtù del Decreto “Trasparenza”) l’esenzione di € 600 se già maturata in uno (o nella “sommatoria” di più di uno) dei predetti rapporti.
Quanto al lavoro nel settore privato e in enti pubblici economici che non rientrano tra le pubbliche amministrazioni, giova rammentare che il reddito agevolato può in realtà spingersi, nel 2022, fino ad € 800 e ciò per effetto anche della possibile corresponsione dei cd. “buoni carburante” (sino ad un controvalore massimo di € 200), previsti dall’art. 2 del D.L. 21/2022 e da questo esclusi dalla formazione del reddito tramite espresso richiamo del comma 3 dell’art. 51 TUIR (anche tali titoli di legittimazione saranno, quindi, erogabili ad personam ed integralmente deducibili dal reddito d’impresa ai sensi dell’art 95 TUIR). È utile rilevare che il bonus carburante rappresenta un’agevolazione ulteriore rispetto a quella generale di cui al comma 3 dell’art. 51 TUIR e che la ratio della norma del D.L. 21/2022 va rinvenuta nell’intento di indennizzare in qualche misura i lavoratori in conseguenza dei maggiori costi sostenuti a causa della crisi energetica. Parimenti utile è richiamare il fatto che l’Agenzia delle Entrate (Circolare 27/E-2022) ha precisato che “l’erogazione di buoni o titoli analoghi per la ricarica di veicoli elettrici debba rientrare nel beneficio di cui trattasi” (il quale può poi tradursi in pratica nell’erogazione di €. 800 in “buoni carburante” o “buoni ricarica” essendo questi ultimi anche uno dei possibili fringe benefit nei quali “tradurre” l’importo di € 600 di cui al citato comma 3).

Il favor dell'Agenzia delle Entrate verso il tema green è ben testimoniato anche dalla Risposta n. 329 del 10 giugno 2022 avente ad oggetto il "servizio di ricarica per auto elettriche private dei dipendenti" fatto rientrare nella fattispecie di cui all'art. 51, c.2, lett f) TUIR in quanto lo scopo di "promuovere un utilizzo consapevole delle risorse ed atteggiamenti responsabili dei dipendenti verso l'ambiente" inducono a ritenere che nell'attivazione del servizio di ricarica messo a disposizione da parte del datore di lavoro possa ravvisarsi una "finalità di educazione ambientale" vieppiù sinergica - evidenzia l'Erario - con l'obiettivo di dare impulso ad "una compiuta transizione ecologica anche attraverso una mobilità sostenibile" in linea con i più generali obiettivi del PNRR.

Al fine di evitare commistioni tra le due misure e i due distinti (ma cumulabili) valori-soglia (€ 600 + € 200) ed anche per rendere evidente l’ammontare utilizzato a valere sulle due diverse soglie, sarà preferibile effettuare annotazioni distinte in contabilità e nelle buste paga.

De jure condendo: scenari futuri per i fringe e i flexible benefit

Il d.l.“Aiuti bis” è in realtà un tris: è, infatti, la terza volta che, in conseguenza di una qualche emergenza (prima il Covid-19, adesso la crisi energetica conseguente alle sanzioni inflitte alla Russia) viene ritoccata la soglia di esenzione fiscale e contributiva dei fringe benefit. Vien fatto di pensare che, vivendo in un contesto geopolitico ormai caratterizzato da ricorrenti crisi, questi interventi siano assai poco comprensibili comportando, ogni volta, il rifacimento di percorsi che potrebbero essere compiuti una volta per tutte. Tanto più, poi, proprio nel caso dei fringe benefit.
Il limite generale di esenzione delle originarie 500.000 lire (a suo tempo convertite in € 258,23), risale al 1986, cioè all’anno dell’introduzione del TUIR.
Quell’ammontare, negli anni ’80 del secolo scorso, era quasi prossimo ad una mensilità di salario di un operaio generico ed aveva quindi un senso, mentre col trascorrere dei lustri e dei decenni è diventato da tempo evidente come essa non sia più attuale, né tantomeno utile alla gestione delle politiche di rewarding dei lavoratori.

Al fine di salvaguardare le esigenze di copertura degli interventi normativi, chi scrive aveva proposto (si veda “Quotidiano Lavoro” del 9 giugno 2020) che l’esenzione potesse farsi “bifronte” distinguendo tra uno specifico “buono spesa” (che si potrebbe limitare al solo circuito degli acquisti alimentari, sostenendo così questa importante componente del bilancio delle famiglie) ed un generico “buono acquisto” (utilizzabile per le finalità più varie, sganciate da qualsivoglia necessità socialmente più meritoria). Se non per entrambe le fattispecie, almeno la prima potrebbe ricevere un adeguamento della soglia di esenzione in modo strutturale e non emergenziale e soprattutto, equamente, attualizzandolo a valori correnti la soglia stabilita nel 1986.

L’innalzamento strutturale della soglia di esenzione dei fringe benefit potrebbe contribuire stabilmente non solo al sostegno economico dei lavoratori, ma anche al rilancio dei consumi e ben più di quanto potrebbe fare una riduzione del cuneo fiscale. Infatti, la riduzione del cuneo fiscale, in un periodo come quello attuale, potrebbe indurre i lavoratori ad accantonare risparmio, mentre i fringe benefit portati al nuovo valore-soglia (€ 600 o anche € 500, ma non la miseria dei € 258,23), mentre sostengono il reddito (come farebbe anche la riduzione del cuneo) per loro natura sono necessariamente destinati agli acquisti.

Infine, lo sdoganamento del cash (o dei rimborsi, sia pure per fattispecie tipiche) introdotto dal d.l. “Aiuti bis” nel c. 3 dell’art 51 del TUIR rende forse affrontabile la soluzione di un altro retaggio del passato: la non rimborsabilità delle spese afferenti i servizi di cui all’art 51, c.2, lett f-bis (servizi aventi le finalità di cui all’art. 100 TUIR). Non si vede francamente perché si possano portare a rimborso le spese per l’assistenza agli anziani genitori o quelle per l’acquisto dei libri di testo per i figli in età scolare e non si possa fare altrettanto con l’abbonamento alla palestra o per l’iscrizione ad un corso di formazione extra professionale dovendosi, in tal caso, obbligatoriamente passare per il tramite dell’acquisto effettuato dal datore di lavoro o da un mandatario senza rappresentanza da questi incaricato (normalmente un provider).

Di più: ci si chiede se, a fronte degli obiettivi del PNRR afferenti la “transizione digitale”, non sia giunta l’ora di sdoganare anche la possibilità di creare circuiti nei quali rendere utilizzabili specifiche “Welfare Card” (anche digitali), attivabili su network già esistenti e pur con le ovvie limitazioni del caso che escludano tipologie di beni e servizi non coerenti con le finalità welfaristiche ed escludano, altresì, la possibilità di trasformare il “Credito Welfare” incorporato nella Card in denaro altrimenti spendibile. In molti Paesi Europei soluzioni similari sono già attive, hanno creato nuove realtà d’impresa e posti di lavoro, mentre l’Italia sembra decisamente in ritardo.


L'articolo è già uscito su Guida al Lavoro - Il Sole 24 Ore, numero 35 del 9 Settembre 2022.

 

 

Mariano Delle Cave

Avvocato presso lo Studio Legale Gitti And Partners, presso il quale si occupa di diritto del lavoro. Ha conseguito il dottorato di ricerca presso Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, discutendo una tesi su Adesione e Recesso nei Fondi Pensione.

Giovanni Scansani

Docente a contratto in Università Cattolica, dove coordina il Laboratorio di Progettazione di Piani di Welfare Aziendale. Già CEO di società appartenenti a gruppi internazionali attivi nel settore dei servizi per il benessere individuale ed organizzativo è consulente di organizzazione del lavoro e welfare aziendale per imprese e P.A.. Giornalista pubblicista, collabora con testate specializzate in HR Management.