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Professioni e intelligenza artificiale

Andrea Camporese
11 gennaio 2024
TEMI MEFOP
  • Invecchiamento e Longevità
  • Organizzazione e Comunicazione

L’intelligenza artificiale cambierà il mondo, ma il mondo non è solo tecnologia. Questa semplice affermazione recupera la “dignità” degli antichi ed ineliminabili fondamenti del mercato del lavoro, dell’economia più in generale. Geopolitica, andamenti migratori, calo demografico, transizione ecologica, crescita più o meno drogata della produzione: questa è la cornice in cui si innesta l’intelligenza artificiale e le sorprese potrebbero esse molte.

Tutti i maggiori studi, soprattutto di derivazione americana, convergono nel sostenere che l’invecchiamento della popolazione nei Paesi avanzati deprimerà ulteriormente la quantità di lavoratori disponibili spingendo verso l’alto i salari, aumentando la produttività con l’uso delle nuove tecnologie, favorendo i lavoratori a bassa formazione come quelli dei servizi. Sarà un mondo migliore?

Difficile fare previsioni, certamente sarà un mondo molto più veloce, svolgeremo più attività in meno tempo, la qualità della domanda sarà molto più articolata e la competizione sull’offerta estremamente aggressiva. Le professioni subiranno enormi cambiamenti, ma avranno a disposizione una quantità gigantesca di dati utili a prendere decisioni e a dare risposte, vincerà chi saprà fare sintesi. E la sintesi comporta logica, ampiezza culturale, lettura del contesto e sensibilità psico-attitudinale. Certo la formazione tecnica conterà, ma si dovrà acquisire tempo per tempo, inseguendo un’innovazione continua e velocissima.

L’IA spaventa i governi, il dibattito, giustamente, si focalizza sui limiti di utilizzo e sui pericoli per le libertà fondamentali, ma non basta pensare che il mercato cambierà e migliorerà solo spingendo sulla transizione ecologica o sulla lotta all’inflazione, di mezzo c’è sempre il fattore umano.

Partiamo dal basso, convinti che lo strato di lavoro meno qualificato, non necessariamente povero, influenzi decisivamente tutto il mercato. Un’indagine condotta da Manpower Group, colosso della selezione del personale, in 41 Paesi ha rilevato che il 77% delle aziende dichiara difficoltà a coprire i ruoli necessari, il doppio rispetto al 2015. La Germania, vicina alla recessione tecnica, registra oltre 700 mila posti vacanti presso le agenzie per l’impiego, la maggior parte dei Paesi Ocse ha visto confermare o aumentare i salari medi durante la tempesta inflattiva. Uno studio della Carnergie Mellon University sull’andamento dei brevetti americani dal 1990 al 2018 dimostra che le aziende che hanno implementato forme ancora rozze di IA hanno visto crescere l’occupazione più velocemente del 25% e i ricavi del 40%. Resta sempre la domanda su come vengano poi distribuiti gli utili, comunque sembra che l’istruzione accademica migliori sempre meno i salari rispetto a una formazione tecnica applicata alle nuove tecnologie.

Tirando le somme, seppur parziali, e considerando che la maggior parte degli studi demografici ritiene che i flussi migratori non saranno mai in grado di compensare la mancanza di lavoratori, salvo una indiscriminata apertura delle frontiere che appare utopistica, ci avviamo al nuovo mondo. Grande diffusione di lavoro con capacità tecniche medio basse e molta tecnologia con salari crescenti, una fascia di analisti e trasformatori di informazioni ben pagata e un mondo di mezzo in cui la competizione tra aziende potrebbe far crescere molte nuove professioni. In Germania l’elenco pubblico delle professioni è passato da 152 a 200 in un solo anno.

Meglio? Peggio? Con ogni probabilità all’orizzonte c’è un mondo a macchia di leopardo. Che impatto avrà tutto questo sull’Africa? Domande tutte da verificare.

I nostri giovani saranno salvati dalle innumerevoli offerte formative di nuova tendenza che stanno riempendo gli atenei di mezza Europa più gettonati? Forse. Sicuramente l’interdisciplinarietà e l’apertura a nuovi campi del sapere aiutano, ma la tecnologia è troppo veloce per essere prevedibile. Fare più attività in meno tempo (pensiamo ai call center) potrà significare un aumento dei salari in un mercato regolamentato, senza controllo governativo potrebbe rivelarsi semplice competizione verso il basso. Va detto che uno studio Ocse evidenzia che l’80% dei lavoratori nel comparto manufatturiero, dei servizi e della finanza, dichiara che l’IA migliora sia la produzione che le condizioni di lavoro.

Un’ultima riflessione, sul mondo sanitario. Non vi è dubbio che i Governi abbiano di fronte una terribile sfida: quella del mantenimento di servizi universali in presenza di un aumento pesantissimo dei costi a causa dell’invecchiamento della popolazione. A bocce ferme sembra una sfida già persa. La possibilità che centinaia di milioni di persone possa sostenere i costi di servizi non più forniti dal pubblico o addirittura inesistenti, appare nulla. Resta la speranza che le nuove tecnologie possano alleviare l’impatto, pensiamo alla telemedicina, che il personale medico possa curare più pazienti con meno costi, che la transizione ecologica riduca la precarietà della vita di molte popolazioni. Ancora una volta si tratta di tempi e modi, soprattutto si tratta di essere umani e non di algoritmi.

 

Andrea Camporese

Laureato in filosofia, già presidente Inpgi, dell’Associazione degli Enti Professionali privati e Privatizzati (Adepp) e della Associazione europea degli Enti Previdenziali dei Professionisti. Giornalista professionista Rai per oltre 20 anni, svolge attività di ricerca nel settore del welfare, della previdenza e della tecnologia applicata. Dal 2017 ha collaborato con grandi operatori privati nel delineare progetti sull’economia reale ad impatto sociale.