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I fondi pensione fra azione di governo ed iniziative giudiziarie

Pasquale Sandulli
08 aprile 2015
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SI TORNA A PARLARE DI FONDI PENSIONE
Non si può dire che sui Fondi pensione manchi, di questi tempi, l’attenzione del Governo, né quella dei giudici. Per parte sua, il Governo Letta  ha  disposto  l’introduzione  di  strumenti giuridici  rivolti,  insieme  con  quelli  di  derivazione comunitaria, a consentire – specialmente  ai  fondi  a  prestazione  definita  –  interventi di riequilibrio particolarmenteS.1 incisivi (spicca fra tutti la possibile riduzione delle prestazioni in corso di erogazione a fronte di situazioni di squilibrio indotte, fra l’altro e prioritariamente, dai rischi biometrici), affidati – sotto il controllo e con poteri addirittura di sostituzione della Covip -   alle fonti istitutive negoziali sindacali, cui  viene  confermata  dunque  una  diretta  capacità «rigeneratrice» e dunque il ruolo dominante nel sistema, sebbene al momento risulti ancora difficoltosa l’utilizzazione di questa facoltà. È stata poi la volta del Governo Renzi, del quale  già  nel  precedente  editoriale  sono  state criticamente  illustrate  le  iniziative  in  termini di Tfr in busta paga  e ricordati gli interventi di natura tributaria.

 

NUOVE REGOLE DI INVESTIMENTO: CAMBIA L’APPROCCIO CULTURALE
L’anno  2014  si  è  chiuso  con  la  pubblicazione  (Gazzetta  Ufficiale  13/11/14)  del  d.m. 166/2014, che ha rimpiazzato l’oramai da tempo superato d.m. 703/1996. Lascio ad altri l’analisi dei contenuti propriamente finanziari del testo, limitandomi a cogliere taluni passaggi di sistema. Il decreto conferma la legittima permanenza di Fondi pensione interni, quand’anche non patrimonializzati: è la espressa indicazione risultante dall’art. 2, comma 3.  Con riferimento, poi, ai Fondi pensione preesistenti, il decreto fa salve le deroghe eventualmente disposte su richiesta dei fondi interessati, con ciò volendosi sottolineare l’importanza dell’intervento  salvifico  escogitato  nell’ambito dell’art.  20  d.lgs.  252/2005,  e  ad  un  tempo  la residua valenza dei fondi preesistenti, normalmente a prestazione definita, chiamati a confrontarsi con i destabilizzanti rischi biometrici, cui soccorrono le segnalate, ardite tecniche di riduzione delle prestazioni pensionistiche. Il decreto 166 si distingue profondamente dal precedente per la impostazione dinamica e di tipo procedimentale con la quale devono essere affrontate le situazioni di conflitto di interesse, utilizzando  variegate  formulazioni  a  seconda della configurazione giuridica del Fondo (volta a volta, esterno con soggettività giuridica – art. 7  –  o  interno  ma  con  patrimonializzazione  – art. 8 –). Domina in ogni caso un approccio di più  che  opportuna  responsabilizzazione  degli amministratori,  anche  attraverso  il  richiamo all’art.  2391  c.c.:  cosicché  essi  risultano  più gravati – sotto il profilo sostanziale – di quanto fossero dal d.m. 703/1996, che riduceva tutto ad una mera quanto impressionante elencazione, negli allegati di bilancio, delle situazioni di conflitto con obbligo di comunicazione analitica e statica  alla  Covip.  Una  diversa  impostazione che è il segnale di un cambio dell’approccio culturale, derivante dalle ventate di rinnovamento determinate dalla nuova disciplina dei mercati finanziari, e che si contrappone alla vieta cautela che anima il, fortunatamente disatteso, parere del Consiglio di Stato reso proprio sul d.m. 166, (Adunanza Sezione Consultiva per gli Atti Normativi n. 00422/2014 del 04/02/2014), laddove (p. 5) è dato incredibilmente leggere che – con riferimento appunto alla nuova procedura – «appare alquanto ottimistica la previsione che, in sostanza, rimette alla stessa auto disciplina organizzativa del fondo la comunicazione tempestiva a Covip delle circostanze che fanno ritenere  inadeguate  ad  evitare  un  danno  agli aderenti  le  misure  concretamente  adottate». Viene così da rammaricarsi che – stante le non poche sanzioni irrogate da Covip per la violazione  delle  vecchie  norme  sul  conflitto  di  interesse (ancora purtroppo operanti nelle more – non  oltre  diciotto  mesi  –  dell’adeguamento dei Fondi pensione al d.m. 166/2014) i meccanismi  della  illiceità  amministrativa  in  sostituzione di quella penale (l. 689/1981) operino in termini totalmente rigidi (cfr. art. 1, comma 2 legge  cit.,  come  da  Corte  cost.  ord.  24  aprile 2002, n. 140 e Cass. 25 giugno 2009, n. 14959), così da impedire che il radicale mutamento della  fattispecie,  e  relativa  esclusione  di  illiceità dell’omissivo  comportamento  pregresso,  consenta di rimuovere gli effetti negativi in termini di impeditività (d.m. 79/2007, art. 4, comma 1, lett. d) indotti, a carico di taluni amministratori, come conseguenza delle sanzioni irrogate per fattispecie oramai superate. Non è peraltro da  escludere  che  rientri  nella  discrezionalità della Covip, anche sotto forma di apprezzabilmente spontanea iniziativa, un potere non certo di revoca, delle sanzioni pecuniarie, oramai acquisite e per le quali il principio di legalità è insuperabile, quanto piuttosto di azzeramento degli effetti etico/professionali, ove ancora operanti, correlati alla sanzione pecuniaria stessa, rispetto  alla  quale  soltanto  –  ciò  ricavandosi dalla  lettura  della  citata  sentenza  della  Corte costituzionale – opera il principio di legalità.

PENSIONE PUBBLICA: CANTIERE ANCORA APERTO
Si apre in tale contesto l’anno in corso, dominato – quanto al segmento della previdenza, in  particolare  quella  di  base  –  dalla  conferma (Corte cost. n. 6/2015) in ordine alla inammissibilità del referendum indistintamente abrogativo dell’intero art. 24 d.l. 201/2011 (e l. conv. 214/2011),  del  tutto  coerentemente  alla  già altre  volte  rilevata  (sent.  n.  2/2014,  sul  d.lgs. 503/1992) caratterizzazione come legge di bilancio della complessiva manovra pensionistica.  Un  contesto  in  cui  dovranno  collocarsi  a breve altre sentenze della medesima Corte, già chiamata a valutare il reiterato blocco, seppur parziale, della perequazione, così come la nuova  edizione  della  contribuzione  di  solidarietà sulle  pensioni  d’oro.  Una  situazione  dunque complessa, che evidenzia la necessità di nuovi interventi sul sistema di base, che vanno ben al di là della semplice manutenzione, con prospettive di ulteriore innovazione di entrambi i livelli, e loro possibile intreccio.

RISCATTO E TRASFERIMENTO NEI FONDI PREESISTENTI
Al centro dell’attenzione si pone prepotentemente,  sia  sul  piano  giudiziario  (che  verrà esaminato per primo, in quanto già attuale), sia nel disegno legislativo del Governo in tema di concorrenza, il problema della circolazione dei soggetti partecipanti del sistema pensionistico di secondo livello. Con  espresso  riferimento  alla  forme  a  prestazione  definita,  la  Cassazione  con  sentenza  n. 477/2015 è intervenuta per dirimere, con l’autorevolezza  delle  Sezioni  Unite,  la  questione concernente l’applicabilità dell’art. 10 del d.lgs. 124/1993, e dell’omologo art. 14, specialmente comma  6,  del  d.lgs.  252/2005,  a  dette  forme. L’orientamento  del  Supremo  Collegio,  volto  a ritenerne comunque l’applicazione, si fonda sui seguenti argomenti:
-  di  ordine  formale,  in  quanto  i  fondi  preesistenti non risultano esclusi letteralmente dalla applicazione della nuova disciplina sulla riscattabilità e sulla portabilità (cfr. art. 18, comma 1, d.lgs. 124/1993), ribadito dall’assenza di ogni riferimento al problema nell’ambito delle norme transitorie;
-  di  ordine  sostanziale,  in  relazione  alla  identificabilità  comunque  di  una  posizione  individuale, determinata in relazione alla durata del periodo di iscrizione dell’interessato e dell’apporto contributivo, assumendosi la irrilevanza ai  fini  di  che  trattasi  della  nozione  di  «conto individuale», da intendere come attinente alla modalità di gestione del patrimonio del fondo;
- di ordine operativo, affermando il S.C. la determinabilità, se non determinatezza, della posizione con regole e metodi di specializzazione matematica.
Si tratta di una impostazione a dir poco semplicistica, che in fin dei conti finisce per rimettere la  questione  giuridica  alla  relativa  opinabilità delle variabili assunte come presupposto delle valutazioni attuariali e finanziarie: con il paradosso  che  una  soluzione  giuridica,  che  –  per la sede in cui è adottata – dovrebbe assumere rilievo di certezza generale, finirebbe per fondarsi  su  valutazioni  per  definizione  incerte, non nella metodologia (sia ben chiaro), ma nei presupposti.
Si aggiunga che la apparentemente raffinata distinzione concettuale, che la sentenza propone fra «posizione individuale» e «conto individuale» (par. 41 della sentenza) risulta subito quanto meno inappropriata allorché nel successivo paragrafo (42) la sentenza riferisce il concetto di conto individuale come «attinente alla modalità  di  gestione  del  patrimonio  del  fondo», qui,  sì,  confondendosi  la  gestione  del  patrimonio  con  la  gestione  finanziaria  (capitalizzazione  e  ripartizione)  e  conseguente  diverso assetto strutturale, di cui sono evidenza i profili legati alla diversa evidenziazione contabile, in che si sostanzia la predisposizione di conti individuali. Ed ancora, l’utilizzazione (par. 43) della  normativa  fiscale  di  cui  all’art.  14 quater – comma 2 bis d.lgs. 124/1993, trascura la circostanza che detta norma, nell’usare il termine «conti individuali», ne considera la mera eventualità, cosicché non è corretto trarne una valenza generale.
Questi rilievi inducono a ricordare che la stessa Covip 6  – pur nella piena consapevolezza della importanza  della  circolazione  delle  posizioni come strumento di continuità e di libertà di investimento nel sistema di secondo livello – aveva  colto  in  modo  diverso  (e  ragionevolmente più appropriato) la circostanza che le disposizioni dell’art. 10 d.lgs. 124/1993 «non sono dichiarate  inapplicabili  ma  nemmeno  rientrano nel gruppo di norme per le quali sono previsti termini  di  adeguamento»  ed  aveva  dato  puntuale rilievo alla connotazione solidaristica dei fondi a prestazioni definite, facendone scaturire un risultato di non automatica applicazione degli istituti in questione. Chi scrive è ben consapevole  della  prevalenza  della  funzione  giudiziaria  su  quella  amministrativa,  ma  quando la funzione amministrativa è di vigilanza e di controllo, forse un maggiore rispetto reciproco ed  una  diversa  considerazione  dovrebbe  presiedere le scelte anche dei giudici.
Insomma,  si  avverte  nella  sentenza  una  categorizzazione  assoluta,  fondata  tuttavia  su elementi troppo fragili, e dunque non convincente,  probabilmente  inidonea  a  considerarsi come  parola  risolutiva  della  questione  (vedi Postilla).  Se  un  merito  vuole  riconoscersi  a questa  sentenza,  resa  con  riferimento  ad  una tematica  progressivamente  residuale  (anche  i lavoratori  autonomi,  che  pure  potrebbero  avvalersi di questo regime per il resto sfavorito, si orientano verso la contribuzione definita), è forse quello di accelerarne il processo di esaurimento.

L’ANALISI DEL DDL CONCORRENZA: PRO E CONTRO DELLE PROPOSTE IN CAMPO
In termini ben più generali – seppure ancora astratti, come è proprio della progettazione legislativa  –  l’azione  governativa  di  riregolazione della concorrenza prorompe nell’ambito della previdenza pensionistica complementare, avendo  attenzione  specialmente  alle  forme  a contribuzione  definita.  Pur  con  tutte  le  cautele derivanti dalla provvisorietà del testo, ma consapevoli  della   determinazione  dell’attuale governo (si pensi alla rapida, seppur forse inconcludente,  approvazione  della  ricordata  disciplina del Tfr in busta paga), vale la pena di svolgere  qualche  riflessione  critica,  nel  senso positivo del termine, rilevando non poche perplessità in ordine all’impatto che il d.d.l. sulla concorrenza  (CdM  21/02/15)  determinerebbe anche  sui  Fondi  pensione,  proponendosi  di innovare il sistema dall’interno ed accentuando  le  già  forti  spinte  mercatistiche  del  d.lgs. 252/2005.  Sotto  l’unico  titolo  «Portabilità  dei Fondi pensione», ed in sintomatica connessione  meramente  occasionale  con  il  complesso di norme dedicate alla revisione dell’impianto antifraudolento  delle  regole  sulle  assicurazioni private 7 , il citato disegno di legge annuncia (art. 15) varie novità meritevoli di attenzione: prima però di entrare nel merito, non è inutile soffermarsi,  seppure  brevemente,  sulla  sintomatica  sciatteria  redazionale  [nella  lettera  a) ci si riferisce a soggetti aderenti ad una o più categorie piuttosto che a soggetti appartenenti; nella lettera d) si prevede la soppressione dei possibili limiti alla mobilità attraverso clausole interdittive del trascinamento dei contributi datoriali, dimenticando – se di questo si tratta: ma sul punto infra – di caducare i corrispondenti limiti di cui all’art. 8, comma 10, per la prima scelta].
Lungi da me l’idea che il legislatore non abbia piena discrezionalità, da esercitare ovviamente nei limiti della coerenza di sistema, della ragionevolezza delle scelte e di rispetto dei principi  costituzionali  ed  europei:  questi  ultimi,  fra l’altro, sono decisamente orientati verso la progressiva implementazione della concorrenza – pur con la debita attenzione ai profili solidaristici intrinseci alle forme negoziali – e verso la circolazione delle posizioni.

PRESTAZIONE ANTICIPATA: UN’UTILE RISPOSTA ALLA CRISI
Modificando  l’ordine  con  il  quale  l’art.  15 del d.d.l. in questione affronta i temi dei Fondi pensione,  si  può  osservare  che  (lett.  b)  l’ampliamento da cinque a dieci anni della possibile anticipazione rispetto all’età di accesso alla pensione  quale  presupposto  del  riscatto  per inoccupazione,  che  viene  altresì  riferito  non più  a  oltre  48  mesi,  ma  a  soli  24  mesi  costituisce  una  utile  risposta  alla  esigenza  di  adeguamento  del  sistema  prestazionale  di  secondo  livello  a  fronte  del  progressivo  elevamento dell’età pensionabile, potenziando così nel secondo  livello  la  componente  previdenziale  di sostegno al reddito. Ad una generica finalità di alleggerimento del carico fiscale, prescindendo dalla modalità (collettiva o individuale) di partecipazione  risponde  la  lettera  c).  Entrambi  i divisati provvedimenti risulterebbero, dunque, in linea di continuità con il sistema in essere. Non altrettanto si può dire per le altre due novità in gestazione.

MAGGIORE MOBILITA’ ALL’INTERNO DELLA PREVIDENZA COMPLEMENTARE
La  lettera  d)  ipotizza  la  soppressione dell’inciso  (ora  presente  nell’ultimo  periodo dell’art. 14, comma 6): «nei limiti e secondo le modalità stabilite dai contratti o accordi collettivi, anche aziendali». Così, in tema di mobilità  si  raddrizzerebbero  talune  deviazioni  formali della normativa delegata, costituenti oggi ostacolo  proprio  alla  piena  facoltà  di  migrazione,  cui  invece  mirava  la  delega  originaria: pareri  autorevoli  furono  rilasciati  contro  tali limitazioni (Antonio Baldassarre e Pietro Ichino) a fronte di una estenuante negoziazione Governo-sindacati   dell’estate/autunno   2005, che – ritardando oltre i limiti l’emanazione del decreto, rimediato alla meno peggio nel dicembre successivo – portarono all’attuale formulazione, fondata sull’idea che la componente solidaristica, di certo presente nei fondi negoziali seppure a contribuzione definita, attenuasse o addirittura escludesse il vulnus alla piena concorrenzialità con i fondi del mercato finanziario ed assicurativo 11 , assumendosi dunque non già una violazione della delega, ma l’impossibilità di attuazione di una delega che, così come concepita, sarebbe stata esposta essa stessa ad un intrinseco vizio di incostituzionalità. Questa seconda tesi, così come valse a correggere il senso della delega del 2004, costituirebbe ostacolo al disegno legislativo in corso, che sbilancerebbe il sistema di secondo Welfare pensionistico nella direzione meramente finanziaria.

APRIRE I FONDI NEGOZIALI: UNA SCELTA INCOERENTE
Una vera e propria scelta di rottura si consumerebbe  invece  con  la  lettera  a),  che  con forte ambiguità si maschera sotto un titolo deviante. Non è certo casuale la tecnica novellatrice,  con  l’inserzione  di  un  comma  del  tutto nuovo  nell’ambito  dell’articolo  destinato  alla elencazione  delle  fonti  istitutive:  un  nuovo comma 3 bis. La  tentazione  di  aprire  i  fondi  negoziali  –  si badi: sia quelli di nuova istituzione, sia quelli preesistenti, purché dotati di soggettività giuridica ed a regime di contribuzione definita – al di fuori dell’ambito fisiologico in ragione della loro origine contrattuale collettiva era stata già caldeggiata in sede Covip, ma l’ipotesi era stata respinta,  in  considerazione  della  evidente  incongruenza rispetto all’impianto dato. Orbene, anche  apprezzando  l’obiettivo  forse  inconsapevole di contrastare la poco controllata – dal punto  di  vista  dimensionale  –  e  conseguentemente  frammentata  espansione  delle  forme pensionistiche,  e  relativi  fondi,  vecchi  e  nuovi, si sa che il legislatore facit de albo nigrum. Ma,  si  ripete,  occorre  che  le  sue  scelte  siano coerenti:  assumendosi,  in  omaggio  al  valore della concorrenza – di non facile combinazione con i profili solidaristici (cfr. ancora sentenza Albany)  –,  la  facoltà  di  dilatazione  del  Fondo pensione negoziale oltre i suoi naturali confini costituiti  dall’ambito  di  efficacia  dei  contratti  collettivi,  dovrà  darsi  soluzione  a  tutta  una serie di effetti a cascata: nel sistema, il fondo negoziale che dovesse decidere di avvalersi di questa opzione legislativa, per allargare la sua azione oltre detti confini, assumerà la configurazione di fondo simil-aperto, e dunque – non bastando  più  il  criterio  di  compatibilità  della raccolta – dovrà stare alle diverse regole di accesso  al  mercato,  a  cominciare  da  quelle  che presiedono la raccolta delle adesioni e la formazione di una rete acquisitiva, così da tutelare il singolo di fronte alla sollecitazione del risparmio.  Vero  è  che  il  d.lgs.  252/2005  si  è  distinto,  sotto  questo  aspetto,  per  una  tendenziale amalgamazione  dei  comportamenti  in  questa fase – di ciò è conferma la unitaria regolamentazione della materia del 29 maggio 2008 – , ma elementi distintivi importanti sono ancora ben presenti proprio in questo regolamento Covip (art. 8 per i fondi negoziali ed art. 9 per i fondi  aperti).  Sarà  eventualmente  compito  della Covip rendere ancora più omogenee le disposizioni, ma certo sarà difficile immaginare la costituzione di una rete di collocatori professionali, ma di estrazione sindacale, se veramente si vuole dare respiro alla programmata norma, e non se ne voglia fare solo una bandiera. Più delicato e complesso, probabilmente al di fuori della competenza di Covip, potrà risultare l’assetto di governance di questa nuova tipologia di fondi «negoziali simil-aperti»: occorrerebbe infatti  cambiare  l’impianto  della  bilateralità  e pariteticità  circoscritta  alla  categoria,  in  caso di  un  numero  significativo  di  adesioni  individuali  extra  categoria;  così  come,  in  caso  di adesioni collettive, questo nuovo tipo di fondo dovrebbe accogliere la formula degli organismi di sorveglianza (attuale art. 5, comma 4). È scontato, dunque, l’invito alla seria riflessione  sui  problemi  che  potrebbero  nascere  dalla proposta, e sulla loro risolubilità, solo privilegiando  il  mito  dell’ampliamento  del  mercato finanziario ed assicurativo, del tutto ignorando l’impegno assunto, coerentemente con l’art. 38 Cost. con la riforma del 1995, attraverso la formula dei primi due articoli della l. 335/1995 12 , che invito a rileggere.

POSTILLA
Le  riflessioni  che  precedono,  in  particolare quelle  riferite  nel  paragrafo  n.  4,  erano  appena state elaborate e sistemate, quando si è appreso del deposito esattamente lo stesso giorno (9  marzo)  della  sentenza  della  Cassazione,  a SS.UU. n. 4684/2015, in cui è dato leggere (par. 28)  con  riferimento  alla  questione  della  incidenza  della  contribuzione  di  secondo  livello sul Tfr nel periodo pre d.lgs. 124/1993, quanto segue: «La mancanza di un nesso di corrispettività  diretta  fra  contribuzione  e  prestazione lavorativa, e quindi, in buona sostanza, la sostanziale  autonomia  fra  rapporto  di  lavoro  e previdenza  complementare,  trovano  una  conferma decisiva nel rilievo che, in caso di cessazione  del  rapporto  senza  diritto  alla  pensione integrativa – il che può verificarsi quando non siano integrati tutti i presupposti per la maturazione del diritto – il dipendente non ha alcun diritto alla percezione dei contributi versati dal datore  di  lavoro.  Inoltre  l’obbligazione  che  il datore di lavoro assume con il sistema di previdenza integrativa nei confronti del Fondo non è monetizzabile a favore del lavoratore, come accade invece per alcuni benefit, come ad esempio il servizio mensa o il servizio trasporto che il datore di lavoro può scegliere di organizzare direttamente o garantire con il rimborso del relativo costo a mani del dipendente». Dunque,  come  già  sopra  ipotizzato  (par.  4), non è affatto scontato che l’orientamento sulla «portabilità comunque» (sentenza n. 477/15) si consolidi: è anzi già smentito dalla sentenza n. 4684/15. Sia consentito dire, senza per il momento ulteriore commento, che, in giurisprudenza come in legislazione, spesso una mano non sa quello che fa l’altra.

 

 

Pasquale Sandulli

Pasquale Sandulli è attualmente Professore di Diritto del Lavoro nell’Univ. Europea di Roma, Previdenza complementare e Giustizia costituzionale del lavoro nella Luiss-Roma.
Tra i numerosi incarichi istituzionali, ha rivestito la carica di Esperto presso il Ministero del lavoro; componente del Nucleo di valutazione della spesa previdenziale e membro del collegio di conciliazione ed arbitrato dell'Ufficio del Lavoro della Sede Apostolica
É collaboratore scientifico di Mefop dal 2005 e attualmente fa parte del comitato direttivo della "Riv. Dir. Sic. Sociale”.